I sacrifici stavolta toccano ai ministeri. Tra chi si può permettere di contribuire alla manovra del prossimo anno non ci sono evidentemente solo le banche, sulle quali potrebbe arrivare una nuova addizionale Ires. Ad essere chiamati in causa sono anche i ministri e tutti quegli enti, economici o meno, che ricevono soldi pubblici. Se quei soldi sono utilizzati per progetti “inutili” meglio che vengano spesi per altro, per il taglio del cuneo ad esempio, o per aiutare le famiglie con figli piccoli.
Il ministro dell’Economia, Giancarlo Giorgetti, torna sui capisaldi della sua strategia di politica economica e, parlando alla festa del Foglio, non può essere più esplicito: se i colleghi di governo non presenteranno le proprie proposte per ridurre la spesa di ciascun dicastero, sarà il ministro dell’Economia a vestire i panni del “cattivo”, a prendersi la responsabilità e a procedere con le sforbiciate. Sul piatto c’è l’obiettivo di reperire, secondo fonti di maggioranza, circa 3 dei 25 miliardi di cui sarà composta la legge di bilancio. Via dunque tutte le spese che possono essere considerate sprechi di “tanti ministeri, tanti enti pubblici, anche non economici, che vivono di contributo pubblico” e che devono rendersi conto, spiega Giorgetti, che “ogni euro che spendono è un euro che tolgono ai cittadini e alle imprese che pagano le tasse”.
Tutto sta a capire come reagiranno ora i diretti interessati.
Il primo a cercare un confronto è Matteo Salvini, pronto a “difendere il suo budget” in un faccia a faccia con il collega di partito, oltre che di governo. Il colloquio ufficialmente si risolve però in rassicurazioni più generali: no a nuove tasse e tutela degli stipendi. I Comuni, che rientrano invece tra gli enti pubblici, spiegano ancora una volta, con le parole del presidente di Anci Lombardia Mauro Guerra, che per ulteriori tagli “spazio non c’è”. E il presidente della Regione, Attilio Fontana, pur fiducioso, fa eco sottolineando che gli enti locali “sono anni che soffrono” e che più che di tagli è di una mano che avrebbero bisogno.
Giorgetti ha però a che fare con delle priorità assolute per ogni ministro dell’Economia: innanzitutto ridurre il debito, ma anche dare una spinta alla crescita e alla demografia. Aiutare le famiglie è un modo per assicurare nel tempo la stabilità finanziaria del Paese. E’ un problema economico e non – il titolare di Via XX Settembre non si stanca di ripeterlo – “culturale o religioso”. Giorgetti promette quindi “un trattamento fiscale migliore” per i nuclei con figli. Oggi le lavoratrici madri che ne hanno più di uno possono godere della decontribuzione. Una misura che potrebbe essere confermata anche nel 2025, insieme ai fringe benefit rafforzati per i dipendenti con figli a carico. La leader del Pd Elly Schlein rilancia anche la proposta del congedo paritario di almeno 5 mesi e non trasferibile, sul quale afferma di “non aver trovato la porta chiusa di Giorgia Meloni”.
La manovra avrà però come fulcro, anche il prossimo anno, il taglio del cuneo che Giorgetti si è già impegnato a rendere strutturale, dimostrando la volontà di abbassare le tasse contro chi, vedi anche oggi Giuseppe Conte, secondo il ministro continua a diffondere “la narrazione” di un aumento del peso del fisco. Il governo punta a un restyling per superare allo stesso tempo due ordini di problemi: lo scalone che si crea immediatamente sopra l’attuale soglia di 35.000 euro e il danno a lungo termine sul montante contributivo evidenziato da Bankitalia. Secondo alcune anticipazioni riportate dal Sole 24 ore, l’azione sarebbe quindi doppia. Dal prossimo anno il taglio potrebbe rimanere contributivo per i redditi fino a 20.000 euro, per poi trasformarsi in fiscale, con un aumento delle detrazioni per il lavoro dipendente fino a 35.000 euro.
A quel punto partirebbe un decalage, piuttosto rapido, fino a 40.000 euro. Qualche indizio arriva infine anche sul capitolo pensioni.
L’idea è quella di un perfezionamento del cosiddetto bonus Maroni, con incentivi a chi sceglie di rimanere al lavoro anche con i requisiti per il pensionamento. In questo caso “lo Stato può accettare di rinunciare al versamento di contributi o ad altro”, ha spiegato Giorgetti.
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