Quindici anni di tempo per tagliare del 90% le emissioni di gas serra rispetto ai livelli del 1990. Dopo tanti rinvii, la Commissione europea ha messo sul tavolo la proposta di target climatico al 2040, confermando però di voler offrire alle Capitali opzioni di flessibilità con cui centrarlo: tra tutte, quella destinata a dividere gli animi è la possibilità di acquistare crediti internazionali di carbonio da Paesi extra Ue e conteggiarli per raggiungere fino al 3% delle emissioni. Tanto che i difensori del Green Deal lanciano l’allarme chiedendo che la flessibilità non porti la deregulation. Un tentativo di strappare un accordo più rapido possibile al Parlamento europeo e agli Stati membri che, su entrambi i fronti, hanno intensificato nei mesi scorsi le resistenze sull’agenda verde di von der Leyen e su un target giudicato troppo ambizioso. “L’obiettivo è chiaro ma il percorso è pragmatico e realistico”, ha scandito Ursula von der Leyen, parlando così sia ai sostenitori del suo Green Deal sia ai detrattori. I crediti internazionali – di cui Bruxelles dovrà chiarire criteri e origine – dovranno provenire da attività green ‘credibili e trasparenti’ e segnano un cambio di passo nella politica climatica dell’Ue che per la prima volta guarda fuori dai propri confini per raggiungere i target climatici. “E’ stata una questione politicamente delicata”, ha ammesso il commissario Wopke Hoekstra in conferenza stampa, dopo aver consultato per mesi gli Stati membri più critici per capire in che termini ammorbidire il target senza, di fatto, stravolgere la percentuale del 90%, che è stata raccomandata a Bruxelles dagli esperti scientifici del clima dell’Ue.
Tra le altre flessibilità, Bruxelles fa leva sull’inclusione dei meccanismi di rimozione ‘permanenti’ della CO2 nel mercato del carbonio Ets per aiutare i settori difficili da decarbonizzare e offre maggiore libertà sui settori a cui dare priorità nel raggiungimento del target. Da Roma il ministro Gilberto Pichetto Fratin rivendica di aver sostenuto da principio misure di flessibilità per il nuovo target tra cui la contabilizzazione di iniziative di decarbonizzazione in Paesi terzi. L’approccio pragmatico sul target era “necessario per avere qualche possibilità di ottenere la maggioranza in Parlamento e Consiglio”, ha detto il portavoce del Ppe per il clima Peter Liese, mentre i crediti di CO2 preoccupano il mondo dell’attivismo green e i sostenitori del Green Deal. “La flessibilità non può diventare una via di fuga per la deregolamentazione”, ha messo in guardia l’eurodeputato Pd Antonio Decaro, contrario a “deroghe mascherate o ambiguità” che possano minare la credibilità dell’Ue. Critici anche i Verdi Ue e la Sinistra che li reputano “inefficaci” mentre sul fronte opposto la Lega, nelle parole di Silvia Sardone, denuncia obiettivi “ideologici e insensati” perché troppo ambiziosi. Target definito “irrealistico” anche da Fratelli d’Italia che con Carlo Fidanza mette in guardia “sul rischio di desertificare la produzione in Europa”. I negoziati si preannunciano in salita ma i tempi per un accordo sono stretti e sono scanditi dall’appuntamento internazionale della Cop30 di Belem a novembre a cui l’Ue dovrà arrivare con obiettivi aggiornati. Il lavoro tra istituzioni è già cominciato mentre al giorno due del suo semestre alla guida del Consiglio Ue la presidenza danese assicura che il target sarà in cima alle sue priorità. “Dobbiamo avere target chiari e ambiziosi per il 2040”, ha scandito da Copenaghen il ministro danese per il Clima, Lars Aagaard, garantendo che le politiche climatiche sono parte della “strategia per la competitività” a cui guarda l’esecutivo von der Leyen bis.
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