Attacco alla sinagoga di Manchester, l’aggressore era stato accusato di stupro – Europa – Ansa.it

Attacco alla sinagoga di Manchester, l’aggressore era stato accusato di stupro – Europa – Ansa.it


“Massima allerta”, dolore, polemiche e imbarazzo, mentre emerge un profilo da sospetto stupratore per il killer. C’è tutto questo nello scenario del giorno dopo in un Regno Unito che cerca di elaborare lo shock per l’attacco di Yom Kippur che ha insanguinato una sinagoga ortodossa di Manchester. Un atto terroristico certificato come tale dalla polizia che ripropone le denunce di “un antisemitismo risorgente” e rischia di riflettersi anche sul movimento pro-pal: a cui la ministra dell’Interno, Shabana Mahmood, ha chiesto apertamente “un passo indietro”, bollando alla stregua di “anti-britannico” il rifiuto d’interrompere le manifestazioni contro l’escalation d’Israele a Gaza pure in una giornata come ieri.

Il bilancio dell’incursione, due morti e tre feriti tuttora ricoverati in ospedale, è stato reso più grave per tragico paradosso dal ‘fuoco amico’ della polizia, si è intanto appreso oggi. Stando a quanto riconosciuto in un aggiornamento d’indagine dal comandante della Greater Manchester Police, Stephen Watson, sulla base di accertamenti medici che hanno rivelato come uno dei due fedeli uccisi abbia riportato lesioni da colpi d’arma da fuoco al pari di uno dei feriti: armi che solo i suoi agenti possedevano e con le quali hanno sparato per neutralizzare l’aggressore in direzione dell’ingresso del tempio – sbarrato dal rabbino Daniel Walker e da altri “eroi” per evitare una strage più sanguinosa – dove i due giacevano già al suolo a poca distanza dal sospetto. Colpi finiti fuori bersaglio per errore, nel caos di un intervento tempestivo quanto tumultuoso, segnato dal timore che l’assalitore avesse una cintura esplosiva (in realtà inoffensiva). In un contesto che lascia aperti diversi interrogativi. Incluso sul retroterra del “terrorista” ucciso, identificato come Jihadi al-Shamie, un 35enne entrato bambino nel Regno con la famiglia, in fuga dalla Siria di Assad, e divenuto cittadino britannico nel 2006.

Personaggio che risulta essere rimasto estraneo ai radar dell’antiterrorismo e del controverso programma per la prevenzione del radicalismo islamico denominato Prevent, come ha confermato la ministra Mahmood. Ma non senza ombre alle spalle: sia per l’accusa di violenza sessuale per la quale era stato arrestato di recente, salvo essere poi liberato “su cauzione”, secondo una fonte di polizia citata dalla Bbc; sia per le ‘affiliazioni’ potenzialmente celate dietro un primo nome assai evocativo (Jihadi) e un cognome che in arabo significa solo “il Siriano”. Evocate dai media malgrado il comunicato via Facebook con cui suo padre – un medico padre di tre figli, che in passato risulta aver lavorato in zone di guerra come il Sud Sudan per conto di alcune ong – lo ha rinnegato post mortem a nome di tutta la famiglia, “nel Regno Unito e all’estero”, condannando “il terrorismo e l’uccisione di vittime pacifiche e innocenti”.

Vittime che hanno a loro volta ora un nome, Adrian Daulby, 53 anni, e Melvin Cravitz, 66, e vengono ricordate con strazio dai familiari, dalla comunità ebraica e non solo: inclusi i vicini cristiani e musulmani che, in un sobborgo multietnico e multiconfessionale, testimoniano la generosità di Daulby (l’uomo che sarebbe stato colpito per errore dalla polizia mentre cercava di tener chiuso il portone per impedire a Shamie di entrare nel tempio), i suoi “regali di Natale” ai bambini di famiglie di quartiere appartenenti ad altre fedi, le confidenze con l’amico “Hussein”.

Scampoli di umanità e di unità a cui il premier Keir Starmer ha fatto appello, visitando il luogo dell’eccidio con la moglie Victoria, che ha radici ebraiche, e tornando a promettere di voler garantire la sicurezza degli ebrei del Regno contro ogni forma di antisemitismo; prima di una veglia memoriale serale che ha radunato a Manchester oltre le divisioni persone di religione ed estrazione diverse. E che tuttavia non cancellano le inquietudini e le proteste della comunità ebraica britannica, a cui è tornato a dar voce – anche lui in visita a Manchester – il rabbino capo del Regno, Ephraim Mirvis, parlando di quanto accaduto come di qualcosa di temuto e previsto: del “tragico risultato di un’incessante ondata di odio” riemergente “contro gli ebrei”.
 

 

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