In Libia “è finita la stagione dell’impunità” e “nessuno è al di sopra della legge”: lo ha assicurato il premier del governo di unità riconosciuto dall’Onu, Abdulhamid Dbeibah, rivendicando l’arresto di Osama Njeem Almasri, l’ex capo della polizia giudiziaria di Tripoli ricercato dalla Corte Penale internazionale (Cpi) che la procura della capitale libica ho posto in stato di fermo preventivo con l’accusa di aver torturato dieci persone e averne uccisa una.
Gli analisti sono divisi: secondo alcune fonti, l’arresto di Almasri avviene nel contesto della sostanziale sconfitta della potente milizia Rada, a cui il generale appartiene pur non essendo mai stato un esponente di spicco, al centro dell’ultima fiammata di scontri armati nella capitale a maggio scorso. Il leader della Rada, Abdelghani al-Kikli, detto “Ghneiwa”, venne ucciso in un agguato orchestrato dalla Brigata 444 – fedele al premier Dbeibah – e altre milizie alleate.
Nei giorni successivi i violenti combattimenti, che fecero ripiombare Tripoli nel clima drammatico della guerra civile del 2011, causarono diversi morti e ingenti danni. Da allora è in vigore una tregua. Secondo altre fonti invece, ai primi di settembre la Rada avrebbe raggiunto un’intesa con il governo mediata dalla Turchia, che ha una forte presenza nell’ovest libico.
Al centro dell’accordo ci sarebbe in particolare il controllo dell’aeroporto di Mitiga, attualmente nelle mani della milizia, unico scalo che serve la capitale con voli commerciali. All’orizzonte si profilerebbe il reintegro della formazione in qualche apparato dello Stato nell’ottica del disarmo dei gruppi armati fortemente voluta da Dbeibah, che mesi fa ha anche annunciato il riconoscimento dell’autorità della Cpi. In questo contesto, Almasri – finito nel frattempo di nuovo sotto i riflettori dopo il video shock sul pestaggio di un passante – sarebbe divenuto troppo scomodo per la nuova leadership della Rada, che gli avrebbe tolto ogni sostegno.
Lo scenario del resto sembra molto più ampio: all’indomani delle manette scattate ai polsi di Almasri, Dbeibah ha presenziato in pompa magna a Tripoli alla firma del contratto per la realizzazione della prima fase del progetto autostradale “Emsaad-Ras Jedir”, 160 chilometri dal confine tunisino fino alla capitale, che sarà interamente finanziata dal governo italiano, rappresentato alla cerimonia dal viceministro degli Esteri, Giorgio Silli.
Nell’ottobre dello scorso anno, nell’ambito del forum italo-libico a cui prese parte anche la premier Giorgia Meloni, era stata confermata l’assegnazione all’italiana Todini della realizzazione di due lotti della cosiddetta Autostrada della Pace, progetto avviato nel 2008 da Muammar Gheddafi e Silvio Berlusconi per collegare la Libia dall’Egitto alla Tunisia, poi arenatosi con la caduta del rais e il conflitto fra Tripoli e Bengasi sotto il controllo di Khalifa Haftar.
La notizia ha conquistato le prime pagine di tutti i media libici. Non sfugge infatti che il progetto, quasi 2mila chilometri di autostrada che congiungeranno le due ‘sponde’ libiche, quella sotto il controllo del Gnu e quella sotto il controllo di Haftar, impone una normalizzazione nei rapporti tra le due entità. Non a caso, l’Egitto, che vede nell’arteria un importante sbocco commerciale e ha un peso a Bengasi, assieme ad Algeria e Tunisia ha esortato le parti libiche a riprendere il dialogo e celebrare le elezioni previste dalla roadmap Onu.
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