Il leader dei ribelli in Siria si chiama Abu Muhammad Jolani, fondatore nel 2012 dell’ala siriana di al Qaida (Jabhat an Nusra) ma poi staccatosi dal qaidismo internazionale per dar vita a una forma più pragmatica di jihadismo politico con base nella regione nord-occidentale siriana di Idlib. Qui, nel corso degli anni, la Turchia ha esteso la sua influenza politica e militare diretta, avendo già occupato ampie zone del nord-ovest e del nord-est della Siria.
Il 42enne Jolani, originario della regione di Damasco, sebbene non abbia mai ammesso legami diretti con Ankara, è da più parti definito un agente del sistema di potere incarnato dal presidente turco Recep Tayyip Erdogan.
Ahmed al-Sharaa, noto appunto col nome di battaglia al-Jolani, oppure al-Golani – che lo collega idealmente alle alture siriane del Golan occupate da Israele fin dal 1967 – è una vecchia conoscenza della stampa araba, che lo segue attentamente almeno da quando nel 2012 ha fondato il Jabhat an Nusra. Un’iniziativa che peraltro gli ha guadagnato una taglia da 10 milioni di dollari posta sulla sua testa dagli americani.
Forte delle conquiste sul terreno e desideroso di accreditarsi come interlocutore del prossimo presidente americano Donald Trump, il leader dell’offensiva, Abu Muhammad al Jolani, ha rilasciato solo due giorni fa un’intervista proprio alla Cnn: “L’obiettivo della rivoluzione è il rovesciamento di questo regime”, ha detto, mostrando un taglio di barba meno minaccioso della sua precedente tradizione qaidista.
“È nostro diritto usare tutti i mezzi disponibili per raggiungere tale obiettivo”, ha aggiunto Jolani, rassicurando però le cancellerie occidentali sulla volontà delle sue milizie di non danneggiare gli interessi delle comunità cristiane e di altri gruppi non sunniti: “Nessuno ha il diritto di cancellare un altro gruppo. Queste comunità religiose hanno coesistito in questa regione per centinaia di anni e nessuno ha il diritto di eliminarle”, ha affermato il capo dei ribelli.
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