È conto alla rovescia sull’ultimatum lanciato da Donald Trump alla Bbc britannica per la vicenda del montaggio di due passaggi separati di un discorso tenuto dal presidente americano nel 2021, artefatto in modo tale da rafforzare la sensazione che egli avesse incitato esplicitamente l’assalto a Capitol Hill: ultimatum affidato a uno studio legale della Florida, attraverso una lettera trapelata oggi in forma integrale, in cui gli avvocati del presidente americano intimano una ritrattazione pubblica in piena regola entro venerdì, e riparazioni concrete da parte dell’emittente, pena una querela giudiziaria con pretesa d’indennizzo monstre “non inferiore al miliardo di dollari” che dovrebbe essere depositata di fronte alla giustizia Usa.
È uno scenario che il governo laburista di Keir Starmer sta provando in tutti i modi ad allontanare, oscillando fra sollecitazioni al servizio pubblico ad assumere le proprie responsabilità – in modo da cercare di placare l’ira dell’alleato d’oltre oceano, senza guastare i buoni rapporti cuciti fra sir Keir e The Donald – e difesa d’ufficio della tv di Stato, vista come “un’istituzione” nazionale.
Mentre dai vertici dell’azienda arrivano segnali contrastanti, fra indicazioni più concilianti verso Washington e indiscrezioni su un’ipotetica disponibilità a valutare la prospettiva di accettare lo scontro legale: tanto più a fronte del parere di alcuni esperti secondo cui quello della Casa Bianca potrebbe essere un bluff e all’insofferenza di ampi settori dell’audience britannica contro l’idea di una sottomissione umiliante ai toni intimidatori, ai limiti dell’interferenza, della reazione trumpiana.
“Dobbiamo lottare per difendere il nostro giornalismo”, è sbottato al momento dei saluti il direttore generale uscente della Bbc, Tim Davie, obbligato a dimettersi da numero uno del colosso mediatico dell’isola a causa dello scandalo cavalcato contro il servizio pubblico dalla destre interne e internazionali. Parole a cui Davie – professionista d’estrazione conservatrice, ma dal profilo aziendalista – ha affiancato l’ennesimo riconoscimento di “alcuni errori”, non senza rivendicare la difesa di un certo orgoglio di bandiera.
L’incoraggiamento a raccogliere la sfida arriva intanto dagli ambienti più liberal della politica d’oltre Manica (che evoca apertamente un complotto, se non un “golpe” dietro la bufera in corso), da una parte del mondo giornalistico e della redazione presa di mira da Trump addirittura come “corrotta”, nonché da alcuni esperti di diritto. Convinti che l’azione legale evocata dagli avvocati del presidente-magnate abbia basi tecnicamente incerte: non solo per l’indirizzo impreciso a cui è stata inviata la lettera di diffida, ma soprattutto per i dubbi sulla scadenza dei termini previsti dalla stessa legge della Florida, che consente questo tipo di querela a due anni dai fatti.
Esperti come l’avvocato newyorchese George Freeman, che cita le numerose “cause per diffamazione perse” dal tycoon; la dimensione “totalmente senza senso” d’una richiesta da un miliardo di dollari anche di fronte a un eventuale tribunale statunitense; e la necessità di “provare l’intento diffamatorio della Bbc”.
A non volere lo scontro aperto con il presidente Usa è in ogni caso il governo Starmer, costretto ora a dare un colpo al cerchio e uno alla botte. Da un lato affidando al ministro del Lavoro, Pat McFadden, una delle figure più vicine al premier, un appello ai vertici della Beeb quasi a chinare il capo, poiché “quando si fanno degli errori bisogna rimediare”. Dall’altro esprimendosi in Parlamento per bocca della ministra della Cultura e dei Media, Lisa Nandy, in termini elogiativi verso la Bbc in quanto istituzione vista come una sorta di “luce” sul fronte dell’informazione “da tante persone nel Regno Unito e nel mondo”. Una istituzione soggetta a “errori editoriali” da correggere anche attraverso una riforma della Royal Charter, il contratto di servizio pubblico, che inizierà “a breve”; ma non per questo da “attaccare a spada tratta”, ha proseguito Nandy: puntando il dito contro le strumentalizzazioni attribuite a quel Nigel Farage, leader dell’emergente Reform Uk, che rappresenta esattamente il volto di un trumpismo in salsa isolana nel Regno.
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