Nel 2023 il valore dell’economia sommersa ed illegale (economia ‘non osservata’ nda) cresce di 15,1 miliardi, segnando un aumento del 7,5% rispetto al 2022 (+7,2% la crescita del Pil corrente) toccando i 217 miliardi. L’economia sommersa (ovvero al netto delle attività illegali) si attesta a poco meno di 198 miliardi di euro, in crescita di 14,9 miliardi rispetto all’anno precedente. La sua incidenza sul Pil è del 9,2% nel 2023. Le attività illegali sfiorano i 20 miliardi. “Il valore dell’economia sommersa da sotto dichiarazione e lavoro irregolare sale a 185,3 miliardi (+14,5 miliardi su 2022). Lo afferma l’Istat.
Nel 2023 le unità di lavoro irregolari sono state 3 milioni e 132mila, in crescita di oltre 145 mila unità rispetto al 2022. La crescita del valore aggiunto connesso all’utilizzo di lavoro irregolare in confronto all’anno precedente è dell’11,3%. La crescita della componente dipendente irregolare è stata del 4,9%, quella della componente indipendente irregolare dell’ 4,8%.
In particolare, nel 2023 sono occupati in prevalenza come dipendenti circa 2.274.000 lavoratori irregolari. Rispetto al 2022, il lavoro irregolare è aumentato del 4,9% (poco più di 145mila Ula). L’aumento del tasso di irregolarità – afferma l’Istat – è dovuto alla forte crescita del lavoro non regolare, la cui dinamica (+4,9%) è stata circa il doppio rispetto a quella dell’input di lavoro regolare.
Quest’ultimo ha registrato nel 2023 un aumento del 2,4% (circa +503,5mila Ula), determinato prevalentemente dalla componente dei dipendenti (+3,1% Ula regolari pari a +464mila Ula).
In generale, l’incidenza del lavoro irregolare è stata più rilevante nel terziario (13,9%) e ha raggiunto livelli particolarmente elevati nel comparto degli Altri servizi alle persone (40,5%), dove si è concentrata la domanda di prestazioni lavorative non regolari da parte delle famiglie. Molto significativa è risultata la presenza di lavoratori irregolari in Agricoltura (17,6%), nel Commercio, trasporti, alloggio e ristorazione (15,0%) e nelle Costruzioni (12,8%).
Nel complesso, il settore degli Altri servizi alle persone e del Commercio, trasporti, alloggio e ristorazione hanno impiegato circa il 62% del totale delle Ula non regolari (il 65,5% delle Ula dipendenti e il 52,2% delle Ula indipendenti). Nell’Industria in senso stretto, dove la diffusione del lavoro irregolare è contenuta (5,7%), il comparto della Produzione di beni alimentari e di consumo ha avuto il tasso di irregolarità più elevato (7,7%).
“Il lavoro nero e irregolare , che in Italia ha raggiunto livelli record nel 2023, è un fenomeno che riflette un grave peggioramento dei diritti e delle tutele ed è l’effetto di politiche sbagliate e non incisive, della riduzione della capacità produttiva, del calo della qualità nella produzione di beni e servizi e della crescita della concorrenza sleale verso le tante imprese serie che rispettano leggi e contratti”. E’ il commento della segretaria confederale della Cgil Maria Grazia Gabrielli, e del responsabile appalti, lotta al lavoro nero Cgil nazionale, Alessandro Genovesi.
Per Gabrielli e Genovesi “occorre un cambio di rotta radicale, con interventi volti a favorire non solo più controlli e presidio del territorio, ma modelli di impresa diversi, con vincoli e condizionalità per operare sul mercato e per aumentare il conflitto di interessi tra evasori e consumatori”.
Cioè tutto il contrario della linea seguita negli ultimi anni con “Interventi ormai orientati alla compliance, i subappalti a catena o la proposta di deresponsabilizzare i committenti nella filiera della moda non risolvono il problema, ma rischiano di ampliarlo, favorendo illegalità e infiltrazioni criminali”. “Serve al contrario – sottolineano i due dirigenti sindacali – la generalizzazione di meccanismi di congruità nei principali settori”.
Inoltre, secondo Gabrielli e Genovesi “è necessario un intervento generale di defiscalizzazione dei contributi previdenziali a favore di famiglie e lavoratori nel settore domestico, dalle badanti alle baby sitter”. “Serve – proseguono – una riforma strutturale della Bossi Fini per permettere a migliaia di migranti già presenti nel Paese di rompere il ricatto dei caporali e poter accedere ai permessi di soggiorno”.
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