‘Femminicidi più frequenti dove c’è più emancipazione’ – Cronaca – Ansa.it

‘Femminicidi più frequenti dove c’è più emancipazione’ – Cronaca – Ansa.it


In Italia i femminicidi tendono a essere più frequenti in contesti caratterizzati da maggiore emancipazione femminile, ma dove la cultura patriarcale è ancora radicata, la cosiddetta teoria del rigetto.

E’ quanto emerge della ricerca “Femicides, Anti-violence Centers and Policy Targeting” presentata stamani durante l’incontro “Una prospettiva territoriale sui femminicidi” su iniziativa della senatrice del Pd Cecilia D’Elia, vicepresidente della commissione femminicidi.

Dall’analisi, che impiega algoritmi di intelligenza artificiale, emerge che la distribuzione dei Cav-Centri Antiviolenza- non corrisponde pienamente a quella delle aree a maggior rischio, e le nuove aperture non avvengono laddove c’è maggior urgenza.

Dalla ricerca – condotta da Augusto Cerqua, Costanza Giannantoni, Marco Letta, Gabriele Pinto del Dipartimento di Scienze Sociali ed Economiche dell’Università Sapienza di Roma – viene evidenziato che non esistono aree non a rischio per i femminicidi, ma che alcune sono molto più esposte ed il rischio è maggiore proprio dove l’emancipazione femminile è più elevata, la cosiddetta teoria del rigetto. Tra le aree a rischio non risultano differenze rilevanti in termini di reddito, livello di istruzione, livelli di occupazione. Anche se, è stato ricordato, una parte “ancora troppo grande dell’opinione pubblica” percepisce il femminicidio come “una forma di omicidio comune e confinato a contesti marginalizzati, senza il riconoscimento delle sue radici profonde e delle sue tipicità”. Si assiste inoltre, è stato evidenziato, “alla crescente diffusione, soprattutto tra le fasce più giovani della popolazione, di chi nega la necessità di interventi specifici e di avanzamenti in tema di diritti delle donne”. Negli ultimi anni, è stato ancora ricordato che l’Italia sta diventando complessivamente un luogo più sicuro ma questo miglioramento non si estende alle donne. Dallo studio emerge un disallineamento tra Centri antiviolenza ed i reali bisogni del territorio, questo avviene perché le aperture seguono spesso “una logica dal basso, guidata dall’attivismo locale e non da un piano nazionale di copertura basato su evidenze”.

Ciò suggerisce la necessità, è stato puntualizzato, di migliorare i criteri di allocazione delle risorse. I risultati dell’indagine mostrano anche che l’apertura di nuovi Cav porta a una riduzione locale dei casi di femminicidio e a una diminuzione statisticamente significativa dei casi di violenza sessuale del 20% ma non risultati significativi per denunce di stalking o abusi. E’ stato infine posto l’accento sull’importanza di rafforzare la rete dei Cav e indirizzare nuove aperture nelle zone “più vulnerabili” ma anche sul fatto di “immaginare altre politiche pubbliche per incidere sui comportamenti patriarcali e sulle cause profonde della violenza di genere”.

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