Sempre più famiglie tirano la cinghia. Anche sul cibo. Colpa dell’inflazione che frena i consumi con gli italiani che si trovano a fronteggiare i rincari “risparmiando meno o attingendo ai risparmi, ma anche modificando le proprie abitudini di spesa”. E’ questa la lettura dell’Istat sull’andamento della spesa per i consumi nel 2023 da cui emerge in particolare come siano aumentate le famiglie che hanno provato a limitare la quantità e/o la qualità del cibo acquistato: una ‘stretta’ adottata in pratica da quasi una famiglia su tre (31,5% contro il 29,5% del 2022).
Con il carovita la spesa mensile degli italiani si riduce in termini reali. “Nel 2023 – rileva l’Istat – la spesa media mensile per consumi delle famiglie in valori correnti è pari a 2.738 euro, in aumento del 4,3% rispetto al 2022 (2.625 euro), ma in termini reali si riduce dell’1,5% per effetto dell’inflazione che viaggia al 5,9%.
Insomma, non solo si spende di più per comprare di meno ma “si cambia anche in peggio lo stile di vita” avvertono le associazioni dei consumatori. Assoutenti parla di “dieta forzata” e di una “situazione che prosegue anche nel 2024 tenuto conto che nei primi otto mesi dell’anno il calo degli acquisti dei generi alimentari ha raggiunto il -1,1% su base annua”. L’Unione Nazionale Consumatori calcola un generale calo dei consumi di 506 euro all’anno e rimarca che a tavola “ora si mangia lo 0,9% in meno rispetto al 2022 con una riduzione di cibo pari a 58 euro su base annua”.
Ma a preoccupare di più è il circolo vizioso di una discesa dei consumi che marcia di pari passo all’inarrestabile contrazione della produzione industriale.
Ad agosto scorso si è registrato un calo tendenziale per il diciannovesimo mese di fila. Il ribasso del 3,2% rilevato dall’Istat certifica un declino che “riflette le difficoltà della domanda delle famiglie e di molti Paesi verso cui è orientato il nostro export”, osserva l’Ufficio studi di Confcommercio secondo cui “per raggiungere la crescita dello 0,8% nel 2024 è necessario che anche l’industria dia segnali concreti di ripresa nella parte finale dell’anno, ripresa che potrà esserci solo con il contributo di un’accelerazione della domanda per consumi”. Ma la nostra crisi dell’industria si riflette in quella dell’intera area euro dove non si intravedono “indicazioni di ripresa in tempi brevi”.
L’avvertimento arriva dalla Bce che nelle minute del meeting di settembre esprime preoccupazione per “il quadro complessivo delineato dagli ultimi indici Pmi col manifatturiero “in territorio decisamente negativo a 45,72” e rimarca quanto “la debole crescita” della Germania pesi sulla crescita dell’intera area euro con “significative sfide strutturali”.
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