La Cina ribalta sugli Stati Uniti le accuse sull’escalation della guerra commerciale e sostiene che “le recenti azioni americane hanno gravemente minato il clima dei negoziati bilaterali”. Nel primo commento ufficiale dalla minaccia del presidente Donald Trump di imporre dal primo novembre ulteriori dazi del 100% sul made in China insieme alla stretta sulle esportazioni di software critici, il ministero del Commercio di Pechino ha puntato il dito contro la reazione degli Stati Uniti definita un tipico esempio dei suoi “doppi standard”.
Poi Trump però si riprende la narrazione e – a stretto giro- minimizza anche, affermando che: “andrà tutto bene”. Scambio di messaggi a distanza che continua da giorni. “Per lungo tempo, gli Usa hanno esagerato il concetto di sicurezza nazionale e abusato delle misure di controllo dell’export, adottando pratiche discriminatorie nei confronti della Cina”, ha rimarcato un portavoce ufficiale a Pechino, per il quale tali misure hanno “gravemente danneggiato i diritti e gli interessi legittimi” delle aziende cinesi dato che la lista di Washington sul controllo delle esportazioni include ben 3.000 voci, mentre quella di Pechino solo 900. L’ira del tycoon è legata all’annuncio di giovedì con cui a sorpresa la Cina ha introdotto su una nuova serie di controlli stringenti sull’export di terre rare e di tecnologie e attrezzature correlate, nonché di altri prodotti come le batterie agli ioni di litio. Azioni “straordinariamente aggressive e ingiustificate”; secondo il tycoon. Ma il portavoce ha obiettato che, in 20 giorni dall’ultimo round di colloqui Usa-Cina sul commercio a Madrid, Washington ha aggiunto entità cinesi alle liste di controllo e sanzioni, e spinto nuove politiche contro le spedizioni mandarine. Sempre giovedì, gli Usa hanno deciso sanzioni contro entità cinesi coinvolte nel commercio di petrolio iraniano. Mentre le Dogane americane si preparano ad applicare ingenti tasse portuali alle spedizioni cinesi dal 14 ottobre, a cui Pechino ha risposto con tariffe speculari.
“Minacciare la Cina con dazi elevati non è il modo giusto di affrontare la questione. La nostra posizione è sempre stata coerente: non vogliamo una guerra commerciale, ma non ne abbiamo paura”, ha aggiunto il portavoce, assicurando che Pechino “adotterà misure risolute corrispondenti” se gli Stati Uniti proseguiranno con le loro azioni. Il rapporto bilaterale è ritornato allo scontro poche settimane dopo il colloquio telefonico tra Trump e il presidente cinese Xi Jinping, utile secondo il tycoon a concordare di incontrarsi a fine mese al forum Apec in Corea del Sud. L’ipotesi, mai confermata da Pechino, è comunque meno certa poiché Trump ha dichiarato sui social di non vedere “alcun motivo” per incontrarsi con Xi, sebbene in seguito abbia dichiarato di non aver annullato il faccia a faccia.
Secondo gli osservatori, le mosse della leadership mandarina sono pensate per rafforzare il potere negoziale con Washington, a partire dal nodo di Taiwan, ma rischiano di mettere sotto scacco il mondo intero sulle terre rare. Il portavoce del ministero del Commercio ha giustificato “le misure legittime” per migliorare i controlli sull’export di prodotti a duplice uso (quindi, contro la macchina bellica americana) e per “salvaguardare la pace mondiale e la stabilità regionale”, convinto di un impatto “molto limitato” sulle catene di approvvigionamento Ryan Hass, della Brookings Institution, ha osservato che, nonostante gli sforzi per tenere a freno le tensioni, “la tendenza delle relazioni è che entrambi i Paesi stanno perseguendo strategie per ridurre la dipendenza e isolarsi l’uno dall’altro”. Insomma, un disaccoppiamento: anche se alla fine i due leader si vedranno in Corea del Sud “sarà per stabilire una rotta, una direzione e dei limiti alla futura competizione”, ha aggiunto.
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