La battaglia per mettere fine allo shutdown negli Usa è tutt’altro che finita, con la strada per confermare l’intesa raggiunta che resta in salita. E mentre i disagi per milioni di americani continuano, con il caos nel trasporto aereo e il taglio dei fondi ai buoni pasto, la palla passa ai deputati, chiamati ad esprimersi sul compromesso approvato dal Senato ma che non include la contestata estensione dei sussidi all’Obamacare.
Se i repubblicani resteranno uniti non avranno alcun problema ad approvare la misura. Il rischio però è quello delle defezioni che, data la risicata maggioranza dei conservatori alla Camera, potrebbe mettere a rischio il voto. Diversi falchi dei conti pubblici si sono già detti scettici, osservando come il provvedimento non fa nulla per ridurre il deficit e il debito.
Lo speaker della Camera, Mike Johnson, ha ostentato sicurezza, dicendosi sicuro che il partito repubblicano resterà compatto, grazie anche alla pressione di Donald Trump sugli indecisi. A differenza del leader dei repubblicani in Senato, John Thune, lo speaker della Camera non ha mostrato alcuna apertura a un voto sui fondi all’assistenza sanitaria, attirandosi l’irritazione di molti conservatori convinti che la sua sia una strategia perdente. Una chiusura sull’Obamacare – è il timore – potrebbe ricompattare i democratici e offrire loro un tema da cavalcare per le elezioni del 2026.
Le prime crepe all’interno del partito dei conservatori sono già evidenti: la trumpiana di ferro Marjorie Taylor Greene ha criticato Johnson e il partito per il suo no all’estensione ai sussidi senza proporre un’alternativa. Molti deputati hanno sollevato le stesse perplessità e chiesto esplicitamente a Johnson di trovare una soluzione.
Sul tavolo al momento non c’è nulla. Trump ha cercato di rassicurare i suoi sul fatto che si stanno valutando altre ipotesi: “Vogliamo dare soldi direttamente agli americani e non alle assicurazioni in modo che gli americani siano manager di loro stessi”, ha detto il presidente, criticando lo strappo di Taylor Greene. “Penso si sia persa per strada”, ha commentato.
Le tensioni all’interno del partito repubblicano sono comunque ben poca cosa rispetto allo scontro aperto fra i democratici, dopo che otto senatori dem hanno votato a favore del compromesso raggiunto in Senato. La bufera sul leader del partito al Senato, Chuck Schumer, non si placa, fra il moltiplicarsi delle richieste a lasciare e gli attacchi di Trump. “Ha commesso un errore. Voleva piegare i repubblicani, invece sono stati i repubblicani a piegarlo”, ha osservato il presidente, lodando le tattiche adottate dal partito che ha mostrato di essere più compatto rispetto ai democratici dilaniati da una battaglia interna.
Uno scontro che potrebbe a breve vedere in pericolo anche il leader del partito alla Camera, Hakeem Jeffries. Chi Ossé, il consigliere comunale di estrema sinistra alleato di Zohran Mamdani, vorrebbe infatti sfidarlo alle primarie di giugno, cercando di capitalizzare sul successo del neo-eletto sindaco di New York. Mamdani però non appoggerebbe la candidatura, in quanto potrebbe minare la sua agenda e compromettere i suoi rapporti con Jeffries che gli ha concesso un endorsment in extremis e rappresenta, al momento, il suo unico contatto con l’establishment.
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