L’ingresso è anonimo: un qualsiasi portone di ferro verde in una qualsiasi palazzina di due piani a tre chilometri dal Cremlino. Ma una volta entrati e scesi per una stretta scala fino a 65 metri nel sottosuolo, si torna in piena Guerra Fredda. E’ il Bunker 42, un rifugio antiatomico di 7.000 metri quadrati voluto da Stalin per ospitare la leadership dell’Urss e i comandi militari aerei in caso di guerra nucleare.
Rimasta operativa dagli anni ’50 agli ’80 del secolo scorso, la struttura venne utilizzata effettivamente durante la crisi dei missili a Cuba nell’ottobre 1962, quando fu isolata dall’esterno in attesa dell’Apocalisse. Oggi è meta di visite guidate, con persone di ogni età, famiglie, bambini in paziente attesa all’entrata. Complici le tensioni crescenti con l’Occidente che, riportando alle menti l’incubo nucleare, aumentano l’attrattiva.
Il rifugio è stato dismesso e poi acquistato all’asta da una società privata nel 2006. Ma a guidare i visitatori è un militare. Nell’atrio campeggia un grande ritratto di Stalin e una mappa dell’Urss. Ma la frase riportata sotto, attribuita allo zar Alessandro III e citata in passato anche da Vladimir Putin, prova che qualcosa non è mai mutato nonostante i cambi di regime: “La Russia ha solo due alleati, il suo esercito e la sua flotta”.
Prima di scendere, il militare elenca le istruzioni. Si possono fare fotografie, tranne in due sale che verranno indicate. In una di queste, accanto a un modello della prima bomba atomica sovietica, c’è quello che viene presentato come il sistema operativo a suo tempo usato per il lancio di missili intercontinentali. Ma anche qui i visitatori russi mettono mano allo smartphone per scattare immagini del grande quadro illuminato con la scritta ‘forze nucleari strategiche dell’Urss’. E nessuno interviene per fermarli. Invece, vengono fatti sedere ai comandi due ragazzini per una dimostrazione. Su un grande schermo appare a tutto campo la parola ‘allarme’.
Bisogna rispondere a un attacco nucleare. I ragazzi fanno girare le chiavi e il militare detta loro il codice di lancio. Sullo schermo si vedono le immagini dei missili che escono dal sottosuolo, la traiettoria fino agli Stati Uniti, poi una grande città spazzata via. “Tutto questo non è a scopo di propaganda – assicura l’audioguida in inglese – ma per ricordare quali effetti devastanti avrebbe una guerra atomica”. Quaggiù, nelle viscere di Mosca, ogni tanto si sente il rumore di un convoglio della metropolitana che passa. Il bunker si trova cinque minuti a piedi dalla stazione Taganskaya, alla quale è collegato da due linee segrete. “I lavori per la costruzione del rifugio – spiega la guida – procedettero di pari passo con quelli per questa sezione della metro.
Così fu possibile tenere nascosto il progetto”. Il bunker poteva ospitare fino a 600 persone, compresi dirigenti politici, ufficiali, addetti alle comunicazioni, personale sanitario e una stazione radio. Il Bunker 42 fu ultimato nel 1952, ma solo nel 1954 fu portata a termine la realizzazione dei sistemi di supporto vitale e le comunicazioni. Improbabile, quindi, che qui possa avere avuto una postazione di lavoro lo stesso Stalin, morto nel 1953. La guida invita comunque il gruppo a seguirla per entrare “nell’ufficio del compagno Stalin”. Una ricostruzione storica dove, seduto a una scrivania con davanti un busto di Lenin, siede un manichino dell’allora leader sovietico, con in mano la pipa. Nella vicina stazione di Taganskaya proprio quest’anno è stata inaugurata una copia di un monumento all’ex capo dell’Urss che era stato rimosso durante l’epoca della destalinizzazione negli anni ’60. Una mossa che gli oppositori di Putin hanno visto come un segnale di riabilitazione del defunto dittatore. A conclusione della visita, un momento di fiction. Si può entrare in un tunnel – sconsigliato a chi ha problemi di cuore – che si dice colleghi la metro al rifugio, attraverso il quale sarebbero passati i leader sovietici in caso di attacco.
Improvvisamente tutto diventa buio, poi si accendono luci rosse lampeggianti, suona la sirena antiaerea e si ode il fragore di bombe. Il tutto dura un paio di minuti. Il militare che fa da guida fa uscire i visitatori con un sorriso soddisfatto. Lentamente, si risalgono i gradini fino in superficie, mentre un gruppo di ragazzi e ragazze scende di corsa ridendo e scherzando. Per loro è una gita di svago. La paura dell’olocausto nucleare è molto lontano dai loro pensieri.
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