In Israele è il giorno di Marco Rubio, il quarto inviato di Donald Trump in pochi giorni a visitare il Paese, dopo Steve Witkoff, Jared Kushner e Jd Vance, per blindare l’accordo di cessate il fuoco a Gaza, mettendolo al riparo da fughe in avanti dell’estrema destra messianica al governo con Benyamin Netanyahu e reiterando le minacce contro Hamas. “Non esiste un piano B”, quello del presidente americano è “il migliore per avere successo”, ha avvertito il segretario di Stato Usa.
Ma se “Israele sta rispettando gli impegni presi nell’accordo”, Hamas è ancora inadempiente: “Se rifiuta di disarmarsi, sarà considerata una violazione”, ha affermato Rubio, ricordando che il gruppo armato palestinese deve ancora consegnare tutti i corpi degli ostaggi uccisi trattenuti a Gaza che Hamas sta restituendo con il contagocce. Rubio ha tuttavia manifestato “ottimismo”: “Questa è una missione storica, abbiamo qualcosa di cui essere orgogliosi e ci attendono non poche sfide. Sarà un lungo viaggio, con alti e bassi, ma possiamo essere ottimisti”, ha dichiarato dal Centro di Coordinamento Civile-Militare (Ccmc), l’organismo incaricato di monitorare il cessate il fuoco a Gaza, istituito a Kiryat Gat, nel sud di Israele, con circa 200 soldati americani. A guidarlo sarà un diplomatico di lungo corso, Steve Fagin, attuale ambasciatore degli Stati Uniti presso il governo dello Yemen con sede in Arabia Saudita, che affiancherà il generale Patrick Frank. Il Centro dovrà anche supervisionare la consegna degli aiuti umanitari alla Striscia di Gaza che, secondo le organizzazioni umanitarie, entrano a rilento con il valico di Rafah ancora chiuso in entrambe le direzioni. Rubio è quindi tornato sulla Forza di stabilizzazione internazionale che dovrebbe dispiegarsi a Gaza secondo il piano Trump per poi procedere con la ricostruzione della Striscia.
Molti Paesi hanno espresso interesse a partecipare ma dovranno essere Paesi “con i quali Israele si sente a suo agio”, ha sottolineato precisando che lo Stato ebraico avrà un diritto di veto e potrebbe così escludere la Turchia, ritenuta troppo vicina a Hamas. Intanto, a seguito delle riunioni tra Hamas e al Fatah al Cairo, le fazioni palestinesi hanno accettato di affidare temporaneamente a “un comitato palestinese di tecnocrati indipendenti” la gestione dei servizi di base a Gaza e di “rivitalizzare l’Organizzazione per la Liberazione della Palestina (Olp, di cui Hamas non fa parte ndr) come unico rappresentante legittimo del popolo palestinese”. La nota congiunta, tuttavia, non menziona il disarmo di Hamas. Gli Stati Uniti dal canto loro sembrano voler mettere da parte l’attuale presidente dell’Anp Abu Mazen, e Trump non ha escluso di voler fare pressioni su Israele per far liberare Marwan Barghouti, figura di spicco di al Fatah e possibile successore dell’anziano leader da venti anni in carcere in Israele per diversi attentati. “Prenderò una decisione”, aveva detto il presidente americano, e la moglie di Barghouti ha colto il momento per scrivergli: “Signor Presidente, un vero partner la attende, qualcuno che può aiutarla a realizzare il nostro sogno comune di una pace giusta e duratura nella regione – ha affermato Fadwa Barghouti -. Per la libertà del popolo palestinese e la pace, aiuti a liberare Marwan Barghouti”.
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