Scala: palco centrale al femminile, la Prima chiede pace ma ‘buu’ alla soprano russa – Teatro alla Scala – Ansa.it

Scala: palco centrale al femminile, la Prima chiede pace ma ‘buu’ alla soprano russa – Teatro alla Scala – Ansa.it


Per la seconda volta alla Scala Liliana Segre è protagonista, chiamata a prendere il posto nel palco reale del presidente della Repubblica Sergio Mattarella, impegnato a Parigi per la riapertura di Notre-Dame.

Anche il presidente del Senato Ignazio La Russa e il sindaco Giuseppe Sala si sono messi ai lati del palco, lasciando ai lati della senatrice a vita le rispettive consorti. Una proposta fatta dallo stesso La Russa, mentre dietro a loro si sono seduti il ministro della Cultura Alessandro Giuli, il governatore lombardo Attilio Fontana e la vicepresidente della Camera Anna Ascari. “Noi staremo ai margini una volta tanto” ha commentato La Russa. E ha poi ironizzato sul fatto che per il secondo anno si sono trovati in palco insieme. “Non siamo una coppia di fatto – ha risposto alla domanda dei giornalisti -, ma è una persona che stimo molto”.

Poca comunque la politica con Giuli unico ministro presente, al suo primo 7 dicembre da quando guida il dicastero della Cultura.
Lo scorso anno prima dell’inizio dell’opera Marco Vizzardelli dal loggione ha urlato ‘W l’Italia antifascista’. Questa volta l’urlo (fatto da una loggionista) è stato meno politico.

“Salvate Sant’Agata’, un appello per la villa di Giuseppe Verdi nel Piacentino messa all’asta dal Tribunale di Parma come conseguenza di una disputa fra gli eredi. Qualche applauso dal pubblico, e l’assicurazione del sottosegretario alla Cultura Gianmarco Mazzi che il governo “sta seguendo la vicenda. La salveremo”. Già diversi teatri italiani hanno partecipato all’iniziativa del ministero ‘Viva Verdi’, la Scala con una anteprima del Macbeth lo scorso 15 giugno che ha permesso di raccogliere 151 mila euro.

La Prima di questa sera invece è stata un invito alla pace, forse per la tanta guerra e miseria che è andata in scena sul palco. “Con tutte le nostre forze vorremmo il ritorno alla pace – ha detto il sovrintendente Dominique Meyer -. Al mondo c’è un numero pazzesco di guerre e ogni volta che si trova la pace è una vittoria per l’umanità. Ma al momento non si può essere molto ottimisti”.

“Da tutta la cultura viene un messaggio di pace” ha osservato Pierfrancesco Favino. “La musica è pace, al punto che mi spiace che uno dei migliori bassi in circolazione Ildar Abdrazakov che inaugurò la Scala in questi anni, non possa più cantare in Europa perché russo” ha commentato il sottosegretario all’economia Federico Freni. Il leader di Noi Moderati Maurizio Lupi, dotato di cornetto contro la sfortuna che si narra porti quest’opera, ha ammesso che “la gente è stanca e c’è solo la responsabilità di ognuno di noi di dare speranza. Dall’opera arriva un ulteriore responsabilità per chi fa politica, che è quella del dialogo e di abbassare i toni”. Scambio critico c’è stato via social fra Andrée Ruth Shammah “imbarazzata” dalle tante forze dell’ordine schierate e il generale Roberto Vannacci che l’ha invitata ad “andare in un centro sociale”. Mentre in teatro si mostravano gli orrori della guerra con l’invocazione ‘pace’, fuori è andata in scena la protesta. “È la storia della Scala e della prima. Inutile che ci stupiamo, cerchiamo di capire le ragioni” ha commentato il sindaco Sala. 

Meyer: buu alla Netrebko perché russa, è ridicolo

“Fare buu ad Anna Netrebko perché russa è ridicolo”: è quanto ha detto il sovrintendente Dominique Meyer commentando i fischi alla soprano al termine della prima della Forza del destino. “Non apprezzo che uno spettacolo sia preso in ostaggio così. Non c’è una Netrebko in ogni generazione, se abbiamo la fortuna di averla qua in teatro bisogna essere calorosi e applaudirla”. 

 “Ho incontrato la Netrebko poco fa; lei è molto forte e non si lascia toccare da questo”, prosegue Meyer, spiegando che “non ci si può nascondere dietro un dito sempre… lo trovo molto ingiusto, lei è una cantante di qualità che dà tantissimo alla Scala e siamo consapevoli di quello che abbiamo”. “Se un’opera come questa non è alla Scala da così tanto tempo e alla prima ci sono motivi: non ci sono sempre cantanti adeguati” mentre “la Netrebko lo è”. 

Piace ‘La forza del destino’ di Chailly e Muscato

Grande successo per ‘La Forza del Destino’, l’opera di Giuseppe Verdi con cui è stata inaugurata questa sera la Stagione 2024-25 della Scala, salutata dal pubblico con oltre 12 minuti di applausi, grida di ‘bravi!’ e chiamate al proscenio per tutti gli artisti: Anna Netrebko (Leonora),Ludovic Tézier (Carlo), Brian Jagde (Alvaro), Vasilisa Berzhanskaya (Preziosilla), Alexander Vinogradov (Padre Guardiano), Marco Filippo Romano (Melitone). Applausi al direttore dell’orchestra scaligera, Riccardo Chailly e del coro, Alberto Malazzi, oltre che per il regista Leo Muscato. Fra gli applausi entusiasti sono stati uditi alcuni ‘buu!’ rivolti a Netrebko, fra le voci più applaudite.

E’ stata comunque una ‘festa di Sant’Ambrogio’ finita in bellezza, alla presenza di alcune tra le massime cariche dello Stato, fra cui, nel palco centrale, il presidente del Senato Ignazio La Russa e il ministro della Cultura Alessandro Giuli.
Qui anche Liliana Segre (come l’anno scorso al posto centrale di solito occupato dal Presidente Mattarella, oggi a Parigi per la riapertura di Notre Dame), accanto al sindaco Giuseppe Sala e al presidente della Regione Attilio Fontana e il ministro Alessandro Giuli. Non sono mancati i nomi della cultura e dello spettacolo come Mario Monti, Emma Marcegaglia, Pierfrancesco Favino, Placido Domingo, Achille Lauro e altri. L’anno scorso dal loggione partì il grido ‘W l’Italia antifascista’.
Quest’anno un appello ‘Salvate Sant’Agata’, la villa di Verdi ora in vendita per dispute fra gli eredi.
Sono quattro atti che Verdi immagina come altrettante giornate separate da mesi e da anni. Una storia di guerra, d’amore e morte che Muscato racconta senza soluzioni di continuità, con un’unica struttura scenica (di Federica Parolini) montata su una pedana rotonda grande quanto il palcoscenico, che ruota, come fosse ‘la ruota del destino’ in direzione opposta a quella in cui si muovono i personaggi. Si ferma per raccontare un episodio, poi riprende inesorabile, così fino al compimento del dramma.
E quest’anno il pubblico milanese ha forse sentito Verdi, se possibile, ancora più vicino alla propria sensibilità: nelle sue note e nel libretto di Francesco Maria Piave e Antonio Ghislanzoni echeggia infatti la condanna senza appello della guerra, che il regista Muscato ha rappresentato anche nella fase di incitamento (‘bella la guerra!’ canta Preziosilla con il Coro) estendendone la rappresentazione a quattro epoche, dal ‘700 ai giorni nostri, facendo in modo che lo spettatore vi riconosca anche i conflitti attuali. E se all’inizio si vedono divise e armi del 18/o secolo (costumi di Silvia Aymonino) negli atti seguenti si riconoscono quelle successive. Alla fine le mimetiche e i mitra, tra rovine, morte, distruzione, ospedali da campo, la Croce rossa.
Ma oltre che della guerra, ‘La Forza del Destino’ è anche denuncia del ‘patriarcato’, altro termine di estrema attualità, che determina il dramma dei protagonisti: Leonora, sotto il controllo oppressivo del padre e del fratello Carlo, il cui tentativo di fuga d’amore con Alvaro finisce funestato dall’uccisione fortuita del genitore, vive il resto della vita in un eremo con un enorme senso di colpa. Stessa sorte per Alvaro che si arruola per cercare la morte sul campo di battaglia, prima di farsi prete per espiare. Anche Carlo è una vittima: ossessionato dal desiderio di vendetta passa la vita a inseguire entrambi per ‘lavare l’onta’ col loro sangue. Ferito a morte da Alvaro riesce a spegnere la vita della sorella.
In quest’opera però l”ateo’ Verdi esprime anche grande religiosità e forza della fede, che è presente in quasi tutti i protagonisti: Leonora, in una supplica disperata, rivolge dal suo rifugio presso la chiesa della Madonna degli Angeli una preghiera che suona oggi come un’implorazione universale: ‘Pace, Pace mio Dio…’. E alla fine offre all’umanità un barlume di speranza: morente, conforta Alvaro dicendogli che lo attenderà in cielo, ‘là dove cesserà la guerra, santo l’amor sarà’.
Un’opera che, per Chailly, “si potrebbe considerare uno zibaldone, per quella sua caleidoscopica, quasi manzoniana somma di situazioni”, cui Verdi aggiunge fra l’altro, in questa versione del 1869 realizzata per La Scala, “una sinfonia iniziale che produce una reazione straordinaria nei pubblici di tutto il mondo”. 

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