In vista dell’incontro con il premier israeliano di lunedì prossimo alla Casa Bianca, il presidente Usa ha confermato che al centro del colloquio ci saranno Gaza e l’Iran. Ma soprattutto ha messo in chiaro che sarà “molto fermo con Netanyahu sulla fine della guerra nella Striscia. Che anche lui (Bibi) vuole”, ha dichiarato martedì, aggiungendo che spera “in un cessate il fuoco la prossima settimana”.
In serata, un missile balistico lanciato dagli Houthi dal territorio yemenita ha fatto scattare gli allarmi sui cellulari in tutto Israele, facendo temere alla popolazione che il diluvio di super bombe dall’Iran – finito solo sei giorni fa – stesse per ricominciare. Il vettore è stato invece intercettato dai sistemi di difesa.
Intanto, durante una conferenza stampa con il governatore della Florida Ron DeSantis, Donald Trump ha annunciato che con Benyamin Netanyahu ci “sarà una celebrazione molto veloce per l’attacco eccellente (in Iran). È stata una distruzione. Sì, ora si scopre che è stata davvero una distruzione. È esploso tutto. È stata una distruzione totale e completa. E dobbiamo celebrare questi eroi”, ha affermato.
Da parte sua, anche Bibi vuole capitalizzare i successi, sottolineano i commentatori, ma a Washington ci arriverà pure carico di preoccupazioni: l’amico presidente ha un carattere imprevedibile, della guerra a Gaza è stufo, vuole che finisca e gli ostaggi tornino a casa. Al telefono Trump glielo ha detto chiaramente più volte nelle ultime conversazioni: bisogna iniziare a puntare alla fine del conflitto e preparare un piano per il giorno dopo (la guerra) a Gaza. L’amministrazione statunitense sta lavorando alacremente sul coinvolgimento dei Paesi arabi nella futura gestione dell’enclave. Netanyahu nel mentre, vuole arrivare con qualcosa in mano alla pausa estiva della Knesset (dal 27 luglio al 19 ottobre), e prepararsi alle elezioni dribblando la minaccia degli ultraortodossi di far cadere il governo sulla legge per l’esenzione dal servizio militare.
La visita a Washington, preparata da Ron Dermer già negli Usa, avviene dopo il successo congiunto contro l’Iran, ma sul tavolo resta la questione del Paese che al primo punto della sua agenda mantiene l’intenzione di distruggere Israele: sebbene Trump abbia annunciato il cessate il fuoco (via social) non è stato firmato alcun documento ufficiale che ratifichi la pace. Secondo gli analisti internazionali, la tregua è temporanea, altri scontri con la repubblica islamica sono sottintesi poiché il lavoro contro i pasdaran non è stato finito. Nel frattempo, una fonte israeliana molto vicina ai negoziati per l’accordo a Gaza e il rilascio degli ostaggi, ha riferito la possibilità di “colloqui ravvicinati entro pochi giorni, il che porterebbe a una possibile svolta verso un un’intesa”. Gerusalemme sarebbe motivata a essere flessibile riguardo alla formulazione dell’eventuale documento, in modo da consentire una significativa riduzione delle distanze tra le due parti (Hamas-Israele) sul dispiegamento delle forze dell’Idf durante il cessate il fuoco e l’introduzione di aiuti umanitari.
In giornata il ministro degli Esteri egiziano Badr Abdel Aty ha discusso con il primo ministro del Qatar Al Thani proprio degli sforzi congiunti con gli Stati Uniti per riprendere il cessate il fuoco. Nei giorni scorsi, Netanyahu durante la riunione ristretta del gabinetto si è detto intenzionato ad arrivare a un accordo sugli ostaggi, affermando che bisogna spingere con forza verso un’intesa e di aver chiesto che gli americani “usino i martelli” (le sue parole) su Doha.
L’improvvisa fretta del premier sembrerebbe legata all’esaurimento dell’operazione ‘Carri di Gedeone’: il capo di stato maggiore Eyal Zamir avrebbe sconsigliato ai ministri di espandere le operazioni a Gaza, esprimendo il timore che siano “sottoposti a torture sempre più intense”. Dunque è arrivato il momento per decidere sull’accordo con Hamas, che però non accetterà altro se non la fine totale della guerra. Solo la determinazione di Trump, ‘il martello su Doha’, potrebbero sbloccare la situazione. E Netanyahu potrebbe essere contento di accettare l’aut aut di Washington. Specie in previsione dell’accordo di pace tra Israele e Siria, con al Jolani – dicono le indiscrezioni – pronto a rinunciare alle rivendicazioni sul Golan in cambio del sostegno Usa.
Araghchi, ripareremo rapidamente i danni ai siti nucleari
“Non si può cancellare la tecnologia e la scienza per l’arricchimento con i bombardamenti. Se c’è questa volontà da parte nostra, e la volontà di fare ancora progressi in questo settore esiste, saremo in grado di riparare rapidamente i danni e recuperare il tempo perduto”. Così il ministro degli Esteri iraniano Abbas Araghchi, in un’intervista a Cbs. Alla domanda se l’Iran intenda continuare ad arricchire l’uranio, Araghchi ha affermato che “il programma nucleare pacifico è diventato motivo di orgoglio nazionale. Abbiamo anche superato 12 giorni di guerra imposta, quindi la gente non si tirerà indietro facilmente dall’arricchimento”
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